La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 6919 del 20/03/2018 si è pronunciata su un caso inerente l’asserita violazione del c.d. diritto all'oblio, ovvero del diritto a non restare esposti per un tempo indeterminato alle conseguenze dannose che possono derivare al proprio onore o alla propria reputazione da fatti commessi in passato o da vicende nelle quali si è rimasti in qualche modo coinvolti e che sono divenuti oggetto di cronaca.
La vicenda riguardava un noto cantante che conveniva in giudizio un’emittente televisiva che aveva mandato in onda, senza il suo consenso, un episodio
concernente un tentativo di intervista, non andato a buon fine per il rifiuto dello stesso, registrato dalla troupe circa cinque anni prima e già mandato in onda.
Orbene, in primo e secondo grado di giudizio, le pretese attoree venivano respinte con le seguenti motivazioni: a) la sussistenza di una deroga alla necessità del consenso, richiesto dall'art. 96 della legge 22 aprile 1941, n. 633 per la pubblicazione della propria immagine, fondata - a norma del successivo art. 97 - sulla notorietà del personaggio e sull'interesse pubblico dei fatti oggetto della pubblicazione, svoltosi altresì in un luogo pubblico; b) l'inesistenza del preteso diritto all'oblio; c) la liceità della trasmissione, sotto il profilo dell'essenzialità della notizia e della normativa in materia di privacy; d) la sussistenza, quanto all'asserito carattere lesivo dei commenti alle immagini, dell'esimente del diritto di satira; e) la novità della domanda, come tale improponibile in appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. relativa all'utilizzo a fini commerciali dell'immagine del cantante.
Nel decidere sul ricorso presentato dinanzi alla Suprema Corte dal cantante, viene in primo luogo evidenziato che l'esistenza del cd. «diritto all'oblio» è stata affermata, sia nella giurisprudenza europea che in quella nazionale, con riferimento a fattispecie differenti, nelle quali si è sempre posta l'esigenza di un contemperamento tra due diversi diritti fondamentali: il diritto di cronaca, posto al servizio dell'interesse pubblico all'informazione, ed il diritto della persona a che certe vicende della propria vita, che non siano più suscettibili di soddisfare un interesse apprezzabile della collettività a conoscerle, non trovino più diffusione da parte dei media.
Correlato a tale diritto, vi è il diritto ad ottenere la rimozione, da elenchi, o archivi, o registri, del proprio nominativo, in relazione a fatti e vicende che non presentino più il suddetto carattere dell'attualità.
In ambito europeo, poi, la Corte di Giustizia UE e la Corte EDU sono state più volte chiamate a pronunciarsi in materia (si pensi ad esempio alla vicenda concernente il trattamento di dati personali da parte di Google Spain, nell’ambito della quale la Corte di Giustizia ha affermato che siffatta attività «può incidere significativamente sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali», atteso che è possibile, per qualsiasi utente di Internet, accedere ad una visione complessiva delle informazioni relative a quella persona presenti in rete).
L'unica eccezione a tale affermata prevalenza del diritto all'oblio, è stata ravvisata dalla Corte nella sola ipotesi in cui «risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l'ingerenza nei suoi diritti
fondamentali è giustificata dall'interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell'inclusione summenzionata, all'informazione di cui trattasi» [1].
In una più recente pronuncia[2], la Corte EDU ha ritenuto che l'interesse del pubblico all'informazione prevalesse su quello del singolo all'oblio, ma sulla base di specifici e tassativi criteri, la cui sussistenza deve essere sempre riscontrata, ai fini di
riconoscere siffatta prevalenza.
Tali requisiti sono stati ravvisati nel contributo dell'articolo ad un «dibattito di interesse pubblico», in relazione al «grado di notorietà del soggetto» e nelle «modalità impiegate per ottenere l'informazione» ed al «contenuto della pubblicazione», che devono riferirsi a notizie vere, e non eccedenti rispetto allo scopo informativo.
Alla luce di quanto affermato in sede sovranazionale, la giurisprudenza nazionale ha deciso di esprimersi in senso sostanzialmente conforme.
Da tale quadro normativo, desumibile da un reticolo di norme nazionali [3] ed europee [4], deve inferirsi che il diritto fondamentale all'oblio può subire una compressione, a favore del diritto di cronaca, solo in presenza di
specifici e determinati presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell'immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l'interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell'immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l'immagine; 3) l'elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l'informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell'interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell'immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all'interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al
grande pubblico.
Secondo la Corte, dunque, è del tutto evidente che i suindicati parametri - in presenza dei quali soltanto può legittimamente affermarsi la prevalenza del diritto di cronaca sul diritto all'oblio - devono ritenersi senz'altro assenti nel caso di specie.
Da ultimo, non si può non fare menzione del fatto che il diritto all’oblio (anche detto diritto alla cancellazione), inizialmente riconosciuto, come abbiamo visto, soltanto a livello giurisprudenziale, con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali (RGPD, Regolamento UE 2016/679) abbia ricevuto finalmente un’espressa regolamentazione che ne indica portata e limiti.
Infatti, secondo quanto previsto dall’articolo 17 del RGPD, l’interessato ha diritto di ottenere, senza ingiustificato ritardo, la cancellazione dei dati che lo riguardano da parte del titolare quando ricorre una delle seguenti condizioni:
§ Se i dati non siano più necessari ai fini del trattamento per il quale sono stati raccolti o trattati;
§ Nel caso in cui l’interessato revochi il consenso al trattamento dei dati, il periodo di conservazione degli stessi sia spirato oppure quando non vi siano altri legittimi motivi per proseguire il trattamento;
§ Quando vi è opposizione da parte dell’interessato al trattamento dei dati personali;
§ Se un tribunale (o altra autorità di regolamentazione comunitaria) ordini in maniera definitiva ed assoluta la cancellazione dei dati;
§ Nell’ipotesi in cui i dati siano stati trattati illecitamente.
In tali casi, dunque, il titolare dovrà procedere alla cancellazione dei dati e astenersi da ogni successivo trattamento degli stessi, anche se non in maniera assoluta: ci sono ipotesi previste dalla stessa norma in cui il diritto non può essere esercitato.
In primo luogo, il diritto all’oblio non trova applicazione quando va a scontrarsi con il diritto di cronaca e il diritto di informazione che sono prevalenti.
La sua applicazione può, inoltre, essere limitata nei casi in cui la conservazione sia necessaria per adempiere ad obblighi previsti dal diritto comunitario o nazionale o per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità, della ricerca scientifica e storica o a fini statistici.
Da ultimo, il diritto alla cancellazione non trova espressione quando i dati siano necessari per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un dritto in sede giudiziaria.
[1] V. Corte Giustizia, 13/05/2014, c131/12, Google Spain.
[2] La vicenda in esame era inerente ad una vicenda nella quale un cittadino tedesco, che
rivestiva una posizione politica ed imprenditoriale di grande rilievo in Germania, aveva chiesto la cancellazione dal Web dei dati informativi relativi ad un episodio di collusione con la criminalità russa risalente a diversi anni prima, ripubblicati a distanza di diversi anni dalla stampa. V. Corte EDU, 19/10/2017, Fuschsmann c/o Germania.
[3] V. artt. 2 Cast., 10 cod. civ., 97 legge n. 633 del 1941.
[4] V. artt. 8 e 10, comma 2 CEDU, 7 e 8 della Carta di Nizza.
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